Verso l’Assemblea Elettiva
Proseguiamo la rubrica di riflessione pre-assembleare attraverso le parole di Claudio Guidi, presidente diocesano negli anni 1998-2005.
(1998, il presidente nazionale Giuseppe Gervasio incontra l’AC a Pisa)
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VERSO L’ASSEMBLEA ELETTIVA:
OGNI SINGOLO ADERENTE PUò DARE IL PROPRIO PECULIARE CONTRIBUTO
PER L’EDIFICAZIONE DI TUTTI E DI TUTTA QUANTA LA COMUNITà
Volentieri prendo parte alla riflessione avviata sul Percorso Assembleare. E’ un impegno che dice molto della nostra realtà ecclesiale. Il termine percorso richiama al senso del cammino; si cammina perché ci poniamo una mèta, un obiettivo. Il termine assembleare vuole sottolineare lo stile ed il fine; lo stile dello stare insieme, dell’aggregarsi, in assemblea appunto. Con il fine dell’Assemblea ai vari livelli della nostra associazione policentrica (la diocesi, la parrocchia, la regione ecclesiastica, il livello nazionale).
- L’AC, se da una parte ha la forza di una vita secolare (nel 2017) celebreremo i 150 ani, forse per questo e i grandi cambiamenti che ci sono stati, anche dal dopo concilio ad oggi, potrebbe avere anche qualche ‘ruga’. Secondo te, quali potrebbero essere oggi delle ‘rughe’ e quale il DNA che resta ancora valido?
Credo che solo attraverso un esigente cammino di discernimento, quindi primariamente alla luce della Parola di Dio, si possa accennare una risposta a tale questione.
Ritengo che il DNA associativo sia ancora valido secondo il mandato missionario rinnovatoci da San Giovanni Paolo II nel 2004 a Loreto, ultimo viaggio pastorale del suo lungo pontificato, dove ha sintetizzato le finalità e gli scopi dell’AC affidandoci consegne precise: contemplazione, comunione e missione con uno stile da laici. Ha anche suggerito, in un certo senso, il programma: “A voi spetta di testimoniare la fede mediante le virtù che vi sono specifiche: la fedeltà e la tenerezza in famiglia, la competenza nel lavoro, la tenacia nel servire il bene comune, la solidarietà nelle relazioni sociali, la creatività nell’intraprendere opere utili all’evangelizzazione ed alla promozione umana.
A voi spetta pure di mostrare, in stretta comunione con i pastori, che il vangelo è attuale, e che la fede non sottrae il credente alla storia, ma lo immerge più profondamente in essa”.
Le rughe sono presenti, per lo più nella struttura organizzativa che, di fatto, ha messo in crisi una delle peculiarità dell’AC, la popolarità; a mio avviso stiamo correndo concretamente il rischio di connotarci ed essere percepiti da chi ci avvicina, come un’ associazione di soli Responsabili.
E’ pertanto da valorizzare lo stile partecipativo, che chiama in causa ogni singolo aderente a dare il proprio peculiare contributo per l’edificazione di tutti e di tutta quanta la comunità.
Nel tempo non sono mancate e non mancano occasioni per discernere comunitariamente. Ogni triennio il percorso assembleare deve poter servire anche a questo obiettivo, costituendo di fatto una palestra per il discernimento comunitario.
Questo impegno esigente non è un incidente di percorso che ci capita tra il capo ed il collo ogni tre anni; piuttosto rappresenta un’opportunità che ci è data, da cogliere appieno, con serietà.
Questo percorso nella sua essenzialità è tanto importante quanto imprescindibile per un’AC che guarda al futuro, che desidera continuare a spendersi per il cammino della Chiesa che è in Italia, fedele alla propria vocazione.
La stagione del rinnovamento associativo che avuto inizio con la Conferenza organizzativa nazionale, i molti seminari nazionali, fino a giungere alla festa-pellegrinaggio di Loreto del 2004 – durante la quale si è dato vita al nuovo Progetto Formativo – è per lo più passata al di sopra delle realtà associative parrocchiali e diocesane, il ricambio triennale non ha facilitato che le intuizioni di quegli anni trovassero gambe nei successivi. Ma non può essere così, in realtà l’associazione non si r-fonda ogni tre anni. Occorre maggiore umiltà associativa da parte dei vari livelli di responsabilità nell’accogliere il testimone dai responsabili che li hanno preceduti.
Il tema della unitarietà fortemente sottolineato in quegli anni è rimasto molto da sviluppare e sono convinto che il comune impegno di giovani e adulti per iniziative concrete sia di grande utilità (oltre che di testimonianza profetica) anche per la comunità cristiana sempre più chiamata a raccogliere questa sfida.
In questo ultimo anno e mezzo nella nostra associazione parrocchiale abbiamo sperimentato un percorso per “adulti in ricerca” che ha restituito segnali di favorevole accoglienza assai incoraggianti.
- Ogni stagione ‘ecclesiale’ ha i suoi obiettivi e i suoi temi privilegiati, ma dobbiamo essere anche come il buon scriba che trae cose vecchie e cose nuove. Che cosa dell’AC in cui tu sei stato presidente potrebbe essere da valorizzare?
Soprattutto il triennio 2002/05 è stato connotato indubbiamente dal rinnovamento associativo culminato con l’assemblea nazionale straordinaria del 2003 con la quale si è rinnovato lo Statuto datato 1968. L’assemblea elettiva diocesana del 2005 è stata anche quella che ha varato il primo Atto Normativo diocesano approvatoci anche dalla Presidenza Nazionale nei giorni successivi.
L’Atto Normativo diocesano affianca lo Statuto nazionale per evidenziare i connotati di peculiarità dell’Associazione diocesana a servizio di ogni Chiesa locale. In esso l’AC delinea in quali ambiti spendersi, esprimendo il proprio essere dedicata alla Chiesa che è in Pisa.
Mi sento di indicare l’importanza della formazione con l’impegno a costituire il Laboratorio diocesano della formazione; questo ambito a mio avviso può e deve trovare un impegno specifico come indicato nel nostro Atto normativo per concretizzare un’AC che con creatività e impegno sia desiderosa di delineare una formazione per laici chiamati a testimoniare l’amore di Dio qui e ora.
E’ necessario intraprendere percorsi innovativi di formazione, che non possono prescindere dalla realtà in cui la comunità dei credenti è chiamata a vivere pur senza “conformarsi” ad essa.
Una comunità cristiana secondo quanto delineato da Papa Francesco a Firenze nel novembre dello scorso anno, del quale suggerisco rileggere lo stupendo discorso fatto nella Cattedrale.
Le persone mostrano interesse a iniziative che si pongono a sostegno della propria fede, purché non siano calate dall’alto ma progettate insieme.
L’AC deve sempre mettere a frutto le competenze che ha per una progettualità formativa; occorre un di più di formazione con una qualità più elevata, o meglio con una sua esemplarità.
Sì, dalla nostra esperienza ecclesiale le svariate soggettività ci chiedono e si attendono un’esemplarità formativa. A noi spetta di non scoraggiarci perché anche a questo siamo chiamati ed abbiamo i talenti e le capacità necessarie per indirizzare anche a ciò il nostro impegno.
- Come realizzare la doppia vocazione alla corresponsabilità ecclesiale ma anche all’essere laici che vivono ‘nel vasto mondo della politica, dell’economia …’?
Don Tonino Bello una volta, rivolgendosi ai fedeli laici, usò questa espressione: mettete la veste battesimale nei luoghi di lavoro e la tuta di lavoro negli ambienti ecclesiali. E’ un’immagine efficace che presuppone una maturità umana e cristiana che non può essere data per acquisita una volta per sempre.
Per questo è importante supportare e supportarci come aderenti con un serio e impegnativo percorso formativo che attivi in ciascuno anche la necessità dell’auto-formazione.
Nel tempo della realtà ampliata non possiamo abdicare alla nostra chiamata facendoci cacciatori di Pokemon, piuttosto rinnoviamo ogni giorno l’impegno di cominciare a credere e farci cercatori di Dio, nella storia, nella nostra quotidianità.
A mio avviso abbiamo mancato come cattolici italiani a sviluppare appieno il percorso che i nostri vescovi ci hanno indicato alcuni anni fa, mi riferisco alle lettere sull’impegno educativo: educare alla legalità, educare alla socialità, educare alla pace.
Ci siamo molto impegnati ad elaborare il tema della pace, ma i primi due documenti offrono spunti interessanti proprio nella direzione della nostra quotidianità con gli altri.
- Su quale aspetto formativo dell’AC punteresti?
Un aspetto formativo che a mio avviso è molto importante è quello biblico.
Solo la Parola di Dio può consegnaci la chiave di lettura di ogni tempo che siamo chiamati a vivere.
L’Azione Cattolica ha precorso il Concilio Vaticano II con la conoscenza della Parola di Dio, abilitando molti cristiani alla Lectio Divina. La Costituzione conciliare “Dei verbum” ci sta davanti, anche su questo aspetto potremmo dire che il Concilio ci sta davanti e l’AC è sempre sollecitata ad assumerlo come proprio programma associativo.
- Quale può essere una sua funzione oggi nelle parrocchie?
Da vari anni, anche nella nostra Diocesi, le parrocchie sono sollecitate a compiere progetti all’interno di un Vicariato, di un’ unità pastorale; penso, per esempio, alla realtà cittadina di Pontedera che costituisce, tutta quanta, un’ Unità Pastorale.
Là dove è presente, l’AC aiuti i laici ad aprirsi a tali dimensioni, sviluppando sempre più la collaborazione, la reciproca stima, l’impegno, la testimonianza tra realtà che opportunamente guardano insieme a come meglio rendere presente la sollecitudine pastorale dell’unica Chiesa locale in un determinato territorio.
In questo impegno è prezioso l’aiuto dei rappresentanti dell’AC eletti nei vari vicariati.