Ogni parrocchia accolga una famiglia di profughi!

 

“Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia. Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa ospiti una famiglia” (Papa Francesco)

Dopo l’Angelus del 6 settembre in cui Papa Francesco ha sollecitato tutta la comunità ecclesiale a farsi carico dei profughi, abbiamo posto alcune domande a Don Emanuele Morelli, direttore della Caritas diocesana, perché ci aiutasse a comprendere il fenomeno e a iniziare a fornire risposte concrete nelle nostre parrocchie.

Era prevedibile un gesto così audace e concreto, in quanto rivolto non alla caritas o ONG ma a tutte le parrocchie?

Papa Francesco ha la capacità di stupirci. Sempre. Prende sul serio il vangelo di Gesù e lo traduce senza tradirlo in gesti osservabili e verificabili, in opere segno. In questo suo essere testimone è il più credibile dei maestri. Infatti l’accoglienza proposta a tutte le parrocchie in Europa comincia proprio dalle due parrocchie del Vaticano. Il suo magistero si impone proprio per la forza dei segni con i quali lo accompagna, lo sostiene e lo invera. La sobrietà, la semplicità e l’umanità dei sui gesti sono parola più eloquente di molte parole. Ci ricordiamo di quello che disse in occasione della sua visita ad Assisi; “Il vangelo si annuncia ogni tanto anche con le parole!”

Sono convinto che richiesta rivolta alle parrocchie non esclude le Caritas perché caritas e parrocchia sono sinonimi. Anzi, chiarisce ancora di più il fatto che la caritas non è altro dalla parrocchia ma una sua dimensione sempre più necessaria per educare tutta la comunità ad ascoltare, accogliere e servire le sfide di questo tempo presente così complesso e difficile.

Quali dati puoi dirci, in sintesi sui migranti, per la nostra diocesi?

La presenza dei migranti nella nostra diocesi non è omogenea. Ci sono territori come la zona pisana e la valdera che stanno accogliendo in maniera diffusa (piccoli nuclei da 4 a 8 persone) un numero significativo di migranti con l’eccezione della struttura del Cottolengo di via san Jacopo (SGT), gestita dalla CRI, che ne accoglie più di 80. Ci invece sono altri territori come la Versilia che si stanno distinguendo per scelte ostili all’accoglienza.

Dobbiamo dire che le nostre parrocchie e diocesi hanno già messo a disposizione dell’emergenza abitativa più di 40 appartamenti, di questi 3 accolgono profughi. E la nostra chiesa non ha (per fortuna!) “beni al sole”. L’accoglienza nelle case canoniche presenta problemi complessi e, spesso, molte di esse hanno bisogno di ingenti lavori di restauro per essere abitabili.

Come ci stiamo organizzando come Chiesa Pisana, come Caritas?

Come Chiesa Pisana stiamo sollecitando tutte le realtà (parrocchie, comunità religiose…) a pensare e progettare l’accoglienza. Un anno fa come Caritas diocesana avevamo già fatto un appello a tutta la diocesi, a giugno abbiamo scritto ed inviato a tutti un documento in 10 punti, una sorta di decalogo per l’accoglienza, in questi giorni stiamo elaborando con l’Arcivescovo un nuovo appello che sostenga e rilanci l’appello di papa Francesco per la nostra diocesi. Siamo consapevoli che le nostre realtà parrocchiali sono piccole e per questo, proprio su questo tema, sarà necessario provare a praticare il percorso pastorale delle unità pastorali.

Quale consiglio puoi suggerire, di tipo formativo, per una sensibilizzazione al problema, e insieme concreto, alle comunità parrocchiali, che sono tra i destinatari diretti dell’appello del Papa all’angelus del 6 settembre?

L’accoglienza non si improvvisa. C’è bisogno che insieme al reperimento e/o adeguamento delle strutture si pensi a generare un gruppo di persone, una sorta di gruppo accoglienza almeno in ogni unità pastorale, che offra alle persone accolte ciò di cui essi hanno più bisogno e cioè i cosiddetti “beni relazionali” (ascolto, compagnia, condivisione…).

Al vitto, spese per l’alloggio, cure mediche, insegnamento della lingua… ci pensa la realtà che sottoscrive il contratto di accoglienza con la prefettura ma per essere una chiesa con le porte spalancate, come ci invita il nostro vescovo, nel PPD ed esperta in umanità, come ci provoca il Convegno Ecclesiale di Firenze dobbiamo formarci. Ecco il ruolo ed il servizio della Caritas diocesana, accompagnare, sostenere, coordinare, tutte quelle realtà che vorranno confrontarsi con la sfida dell’accoglienza per essere testimoni credibili del vangelo di Gesù.

don Emanuele Morelli

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