Ragazzi e Social Network: problema educativo?
Dall’intervento di Andrea Tomasi per i genitori dei ragazzi ACR
(Festa diocesana del Ciao, 26 ottobre 2014, Sacra Famiglia)
Vorrei limitarmi a sintetizzare alcuni punti di riflessione, rinviando chi fosse interessato a maggiori approfondimenti a qualche riferimento ulteriore. E scelgo di sottolineare alcuni aspetti a cui forse non si dedica di solito una sufficiente attenzione, sorvolando invece le osservazioni che ritengo ormai note a moltissimi.
Alcune premesse, per affrontare alcuni “luoghi comuni”: La rete è potente, ma non è innocua; la rete non è neutra, ma ambigua. I possibili pericoli a cui si espone chi passa il suo tempo frequentando i social network non dipendono dall’ “usare bene” o “male” gli strumenti della tecnologia, ma sono presenti e connaturati alla rete stessa, costruita per uno scopo (il profitto economico) e secondo meccanismi (gli algoritmi di ricerca, le modalità di presentazione, le funzioni rese disponibili) coerenti con una visione culturale ben precisa.
La rete offre molte potenzialità positive, ma queste non sono il risultato automatico dell’uso, bensì richiedono la capacità di interpretarne la logica di funzionamento, conoscerne le regole e disporre di competenze ed esperienza personali. La generazione dei ragazzi d’oggi, chiamati “nativi digitali”, usa abilmente e con famigliarità gli strumenti della rete, ma spesso assume nei Social Network comportamenti ingenui e indifesi, perché non è “nativo” sapere come comportarsi nella rete, capirne i meccanismi. La generazione “digitalizzata” ha bisogno di essere accompagnata da un sostegno educativo adeguato.
Il problema educativo
Sociologi, psicologi e educatori concordano nell’individuare alcuni punti critici: la rete riflette la cultura del nostro tempo e modifica la mentalità e gli atteggiamenti di chi la usa; ad esempio, i concetti di riservatezza e di pudore sono subordinati a ragioni di natura estetica, mentre passa in secondo piano l’aspetto morale ad essi associato tradizionalmente; i social network cambiano il modo di comunicare e di relazionarsi con gli altri; in particolare, si riscontra una maggior facilità sia di essere aperti e altruisti, come di ingannare e causare dolore, in una vita resa più semplice dalla possibilità di ignorare le realtà umane al di là dello schermo; il meccanismo di “like” e il consenso della comunità di appartenenza (espresso dal numero di “amici”) sono elementi di gratificazione e di conferma dell’identità, da guadagnare anche con l’esibizione dei propri sentimenti e del proprio corpo; la “connessione permanente” consentita dai cellulari di ultima generazione (il 40% degli adolescenti tiene il cellulare acceso anche nelle ore notturne) rende indistinto il confine tra quello che avviene in rete e ciò che si vive nella fisicità della presenza.
«Dobbiamo riconoscere che abbiamo ormai due modalità fondamentalmente diverse di stare al mondo: uno stato connesso e uno disconnesso. Ciascuno dei due rappresenta una diversa serie di possibilità di pensiero e di azione. Dobbiamo imparare a chiederci quali aspetti di ogni compito, e dell’esistenza, possono avvantaggiarsi dell’una o dell’altra modalità. E dobbiamo capire come incorporarle efficacemente nel nostro stile di vita».
Per costruire relazioni “sane” c’è invece bisogno di trovare l’ equilibrio tra lo spazio personale, di interiorità, che permette pause di riflessione, e quello comunicativo di contatto con l’altro, tra l’incontro attraverso la connessione a distanza e l’incontro che si realizza quando le persone si ritrovano faccia a faccia. E occorre tenere distinti i due momenti, perché, come sottolinea il filosofo Duque, la connessione permanente può in un certo senso “inquinare” i rapporti umani, alterando le condizioni di intimità/estraneità che ci sono “a distanza” o fisicamente vicini.
I Rischi
Sono ormai ampiamente note e purtroppo ricorrenti le situazioni di adescamento in rete, di bullismo, di dipendenza patologica dai giochi online, favorite dalla facilità di contatto e dalla rapida propagazione. Le conseguenze sono facilitate da atteggiamenti spesso superficiali e ingenui, come la diffusione di immagini di sé in pose provocanti.
Il meccanismo per cui le gratificazioni digitali degenerano in forme di abuso patologico è che producono soddisfazioni emotive con una facilità che la realtà difficilmente concede, o possono costituire rifugio da circostanze personali considerate insostenibili. Evidentemente non è lo strumento la causa che crea la carenza relazionale o psicologica, ma ne amplifica le conseguenze e permette di metterne in atto le forme patologiche. In qualche caso il sistema addiritura favorisce l’insorgenza delle patologie, poiché il giocatore rimane per lungo tempo connesso ed è indotto ad acquistare sempre più componenti del gioco a cui partecipa. Il modello economico dunque, in questo caso, produce guadagno volgendo a proprio favore le debolezze e le patologie umane. Accanto agli aspetti patologici possiamo osservare però anche alcuni rischi meno pericolosi, tuttavia altrettanto preoccupanti. Il modo di funzionare dei Social Network e della rete produce una mentalità estremamente superficiale e incapace di attenzione prolungata, che influisce sulle capacità di apprendimento e sulla autonoma maturazione di criteri di giudizio e di discernimento.
Le difficoltà dei genitori
Un aspetto che ritengo utile segnalare riguarda la differenza di comprensione tra chi usa il linguaggio della rete “nativamente” e chi lo ha imparato: l’interpretazione delle dichiarazioni “mi piace” e “amicizia”, del concetto di privacy e degli aspetti di visibilità, del concetto di popolarità e dei concetti stessi di verità e di eticità, assunti dagli uni secondo il significato che i termini hanno nell’ ambiente di Facebook e dagli altri “tradotti” secondo le conoscenze precedenti, più aderenti al significato tradizionale, può condurre a fraintendimenti, che quando coinvolgono le relazioni umane possono portare a dolorose incomprensioni. È questo uno dei motivi di “frattura generazionale”, particolarmente delicata sul piano educativo. Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra e psicoterapeuta, sottolinea come la competenza educativa dei genitori, ricavata dalle proprie esperienze personali, è messa in crisi dalla brusca evoluzione del contesto in cui i giovani si trovano a vivere, con esperienze nell’uso delle tecnologie del tutto ignote ai loro genitori. Ciò conduce facilmente ad una rinuncia al proprio ruolo educativo (circa la metà dei genitori non sa cosa fanno i figli quando sono connessi e un terzo si giustifica con la convinzione che non vi siano pericoli o che questi possano essere evitati dalle capacità “tecniche” dei ragazzi).
Le conseguenze sono gravi, perché si interrompe il circuito di “trasmissione” delle esperienze e di comunicazione degli affetti tra padri e figli, che si realizza di solito attraverso il “fare” insieme, e tra madri e figlie, che passa attraverso il “raccontarsi” insieme. Nei casi drammatici di situazioni delittuose è estremamente preoccupante il rilievo che emerge dalle indagini della Polizia delle Telecomunicazioni: su 300 casi di adescamento di minori tra 8 e 13 anni, solo in 2 le famiglie si erano accorte di quanto stava succedendo.
Suggerimenti per l’uso
Il compito dei genitori è essenziale ed è alla portata anche dei papà e delle mamme meno “tecnologici”, perché si richiama al loro fondamentale ruolo educativo: stare vicini ai figli, con discrezione e con interesse; le domande giuste e la giusta relazione permettono il dialogo, la comunicazione dell’esperienza in rete, la riflessione sui comportamenti da tenere; attraverso l’esempio di vita e con comportamenti coerenti suscitare nei figli interessi diversi, educando a relazioni corrette e ad un modo “attivo” di formarsi le conoscenze; educare i figli al discernimento, a elaborare un proprio giudizio attraverso la riflessione e il confronto; fissare delle regole, che limitino il tempo e i momenti della connessione, evitando una durata troppo lunga e la permanenza nelle ore serali e notturne; Per quanto riguarda il modo personale di “abitare” i social network, concluderei con due suggerimenti: “Non dire niente online che non diresti di persona”, e aggiungerei “ricorda che tutto quello che dici in rete sarà, prima o poi, letto anche da qualcuno che non è la persona a cui lo dici”. Pensare che l’interlocutore è una persona, richiama alla consapevolezza di una presenza “viva”, sia pure mediata dalla rete, e ci richiama al rispetto dell’altro. Sapere che gli archivi digitali conservano ogni cosa e che in rete la sicurezza e la privacy non possono mai essere considerate assolute (si basano su meccanismi che possono essere aggirati, sia pure con difficoltà, e sulla correttezza di tutti gli operatori coinvolti nella gestione del sistema), ci rende consapevoli dei rischi che si corrono se le informazioni e le conversazioni sono estratte dalla rete e considerate al di fuori del contesto in cui sono state prodotte.Saper alternare alle giornate di vita “connessa” periodi di sospensione della presenza in rete. Tutti abbiamo bisogno di partire dall’essenziale per poter vivere ciò che è accessorio come un arricchimento e non come un ostacolo alla nostra vita. Se, per custodire i beni che riteniamo più preziosi, serve un distacco da altri beni, abbiamo bisogno della libertà necessaria per operare questo distacco. Un “digiuno” può essere un buon allenamento.
Con semplici precauzioni possiamo sfruttare tutti i benefici offerti dalla tecnologia, conservando nella nostra vita spazi personali per dedicarci ad altro, in modo che la tecnologia non esaurisca il nostro tempo e le nostre energie e prenda l’ultima parola su ciò che siamo e che desideriamo essere.
Andrea Tomasi