In ascolto del nostro Arcivescovo
Pubblichiamo in questo numero di InformAC una prima parte dell’intervento dell’Arcivescovo all’assemblea elettiva del 16 febbraio 2014. Dalla vocazione propria dell’AC ed il suo ruolo nella Chiesa all’obiettivo della cura delle periferie di vita mediante proposte di valore.
Nel prossimo numero completeremo il resoconto dell’intervento, affrontando il tema del “tempo favorevole” e dello stile da acquisire, in vista di una piena maturazione umana e spirituale.
Un’attenzione e un affetto che ci onorano, ma che devono suscitare in noi sane inquietudini. L’Arcivescovo sull’AC sembra davvero voler contare. Il suo intervento, all’Assemblea elettiva di febbraio, ne è chiara conferma, solo l’ultima in ordine di tempo.
“Saluto cordialmente tutti i presenti nella consapevolezza del momento prezioso che l’AC diocesana vive con questa Assemblea elettiva. Un saluto che è anche un ringraziamento fraterno nei confronti del Presidente e di coloro che hanno offerto il servizio nell’Associazione nel triennio che si conclude. Un grazie non formale ma reale e cordiale.”
Già dal saluto l’Assemblea percepisce che c’è affetto! L’Arcivescovo fa quindi immediatamente chiarezza sul valore della forma assembleare.
“L’Assemblea deve essere un momento di approfondimento o di riscoperta della identità stessa dell’AC. Nell’Assemblea siete chiamati a rileggere e a verificare la risposta associativa alla vocazione propria dell’AC.” Ovvero “una vocazione che si innesta su quella battesimale ed ecclesiale. Far parte dell’AC, infatti, non significa essere in una realtà parallela alla Chiesa, bensì è assumersi in maniera consapevole e responsabile il compito e la missione stessa della Chiesa, nella diocesi, intorno al Vescovo” Una vocazione che ci porta “a collaborare all’azione evangelizzatrice della Chiesa perché le realtà della vita familiare, sociale, economica, politica, culturale siano animate, sostenute e indirizzate in armonia con il Vangelo.”
La Chiesa ha dunque “bisogno” dell’AC? “Non dobbiamo dimenticare la storia che ha contraddistinto il cammino dell’AC nella nostra Chiesa pisana.” Anche se la sua diffusione si è molto ridotta, “la validità della proposta dell’AC non è assolutamente pregiudicata.” In effetti “c’è stato un periodo in cui si pensava che l’AC avesse ormai fatto il suo tempo… e che bastasse la normale pastorale parrocchiale per assicurare la formazione cristiana dei laici, oltre le forme associative. In realtà, questo non è avvenuto.” L’analisi è “forse un po’ cruda” ma seria: “nelle parrocchie si è curata la catechesi dell’iniziazione cristiana, ma è diventata sporadica la catechesi degli adulti che generalmente era assicurata dall’AC… Si è accentuato il senso di appartenenza parrocchiale ma si è andato affievolendo il senso dell’appartenenza diocesana; si è fatto assai più fragile il rapporto tra le diverse generazioni ed è venuta meno la continuità della formazione cristiana laicale.” Si è inoltre prestata meno attenzione a “immettere il lievito della fede nelle diverse realtà della vita sociale.” Siamo all’eterogenesi dei fini! “Alla fine si è arrivati a fare il contrario di quel che si sarebbe voluto fare.”
L’Arcivescovo registra però importanti segnali. “Oggi, mi pare di cogliere l’inizio di una nuova stagione con una chiara inversione di tendenza. In diverse parrocchie si sta di nuovo scegliendo l’AC come strumento pastorale (perché è uno strumento pastorale!)… non mancano richieste di parroci e di parrocchie a voler far (ri)nascere l’AC; e non sono mancate risposte significative, specie a livello di ACR e giovani, per cui animatori del Centro diocesano o di altre parrocchie si sono fatti missionari per accompagnare il cammino di fondazione e crescita di nuove esperienze associative.” Chiariti i contenuti identitari, l’Arcivescovo detta quindi la linea perché l’AC vada oltre, in quella direzione indicata anche dal Papa. “Da laici cristiani e come associazione vogliamo animare cristianamente questo nostro tempo cercando di essere presenti nella società con l’annuncio e la testimonianza soprattutto nelle “periferie” della vita della nostra gente: famiglia, realtà giovanile, lavoro, scuola, cultura, oltre al mondo della povertà che si allarga sempre più.” Queste periferie non vanno però riguardate “come ambienti che abbiamo perduto e che dobbiamo riconquistare, bensì come realtà da servire. La prospettiva è diversa.”
Dobbiamo tuttavia “servire con la consapevolezza che la complessità è in continua crescita” quindi “con l’impegno a conoscere in maniera adeguata ciò che sta avvenendo; facendo crescere nella comunità cristiana e quindi anche nella realtà dell’AC una seria capacità di relazione con questi fenomeni nuovi, insieme al coraggio di una presenza che sappia offrire risposte adeguate.” Perché “quanto più si diventa capaci di presenze significative, tanto più riusciamo ad incidere nelle dinamiche del nostro tempo; ma si è capaci di presenze significative quanto più siamo portatori di una identità che è capace di proposte di valore.” Il mondo infatti non è sordo a tali proposte. “L’altra sera in Cattedrale (per S. Valentino, ndr) c’erano 500 fra fidanzati e coppie di sposi a ricevere la benedizione! … Ieri pomeriggio in Valdiserchio ho incontrato un gruppo di 22 coppie che si stanno preparando al matrimonio. Non hanno perso una parola!” Quale insegnamento traiamo? “Che c’è bisogno di luce, che si desiderano cose importanti e serie. Proposte di valore.”
La Redazione