SPECIALE ASSEMBLEA NAZIONALE

Si è conclusa lunedì 1° maggio la XVI Assemblea nazionale Ac con la votazione del Documento Assembleare finale e la pubblicazione del Messaggio al paese, che pubblichiamo di seguito.SPECIALE ASSEMBLEA NAZIONALE

Messaggio al paese: La promessa dell’Azione Cattolica Italiana. Un’associazione popolare in cammino verso tutte le periferie
La XVI Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Italiana si è conclusa oggi nel segno della gioia, della fiducia e della speranza. Sono stati cinque giorni di grazia, in cui abbiamo sentito l’affetto paterno del Papa, dei vescovi e della Chiesa tutta, e abbiamo avvertito la simpatia dell’Italia intera, di credenti e non credenti, per la nostra associazione. L’Azione Cattolica, con i suoi 150 anni di storia, è parte significativa della memoria collettiva del passato, vive i fermenti del presente, contribuisce a costruire il futuro del Paese.
È quindi alla Chiesa tutta, e al Paese intero, che ci rivolgiamo al termine di questa Assemblea nazionale. Non con un appello che impegna altri a fare, ma con una promessa che impegna noi stessi. La promessa di restare pienamente innervati nel cuore dei nostri territori, nella vita delle parrocchie, soprattutto nella vita concreta delle persone che camminano con noi in questa parabola complessa ma affascinante della storia. «Voglio un’Azione Cattolica tra la gente, nella parrocchia, nella diocesi, nel paese, nel quartiere, nella famiglia, nello studio e nel lavoro, nella campagna, negli ambiti propri della vita»[1], ci ha detto Papa Francesco. Con questo stile popolare desideriamo aiutare le nostre Chiese locali a prendere sul serio l’Evangelii gaudium, per tradurla in concreto in ciascun contesto. In questo percorso cammineremo in comunione con i nostri pastori e con tutto il popolo di Dio perché, come ci ha ricordato ancora Papa Francesco, «il carisma dell’Azione Cattolica è il carisma della stessa Chiesa incarnata profondamente nell’oggi e nel qui di ogni Chiesa diocesana […] a partire dalle diverse realtà parrocchiali»[2].
Tra la gente, con la gente, per la gente, dalla gente. Sapendo che ciò che abbiamo da imparare è più di ciò che abbiamo da dare. Ed è tra l’altro questo uno dei segreti dell’educare, opera primaria dell’associazione che qui abbiamo confermato e rilanciato. Un educare che ha il punto di partenza nell’accoglienza, nell’ascolto, nel desiderio di camminare e crescere insieme come cristiani e cittadini. Promettiamo alla Chiesa e al Paese di offrire a ogni parrocchia, nei borghi, nelle periferie, nei grandi centri urbani, gesti concreti e ordinari di vicinanza umana. Promettiamo di mettere le relazioni, gli incontri e l’Incontro dinanzi a ogni tentazione di funzionalismo pastorale o burocrazia ecclesiale. Ci impegniamo perciò a formare donne e uomini, ragazzi, giovani e adulti, educatori e responsabili dalla solida umanità, missionari e «profeti del quotidiano»[3], capaci di partire dagli ultimi, dai dimenticati, dalle persone sole.

Promettiamo infine di non tenere per noi il bello e il buono dell’esperienza associativa. La democrazia che viviamo in Ac, la corresponsabilità e la condivisione nel lavorare insieme, la gratuità del servizio possono essere uno stimolo per le istituzioni e la politica a trovare risposte autentiche alle tante questioni che il nostro tempo ci pone. Questo Paese ha bisogno di più democrazia e spazi di partecipazione. Ha bisogno di dedizione per il bene comune, che prevalga sugli interessi individuali. Ci impegniamo per ricucire un’Italia lacerata da tante divisioni. Il nostro impegno è prima di tutto personale, verso tutte le donne e gli uomini del nostro tempo. Come ha detto il presidente Truffelli, vogliamo essere vicini a ciascuna persona, specialmente nei momenti in cui è più facile sentire la fragilità: «Di fronte alla malattia e alla morte; di fronte alla perdita del lavoro o alla frustrazione di non trovarne uno; ma anche davanti alla nascita di un figlio, alla costruzione di una nuova famiglia o alla sua crisi, e così via. A noi è chiesto di accompagnarci, custodirci e sostenerci in questi passaggi, ci è chiesto di farci carico della vita di ciascuno»[4]. Così il nostro impegno si fa comunitario: vogliamo abitare i luoghi della vita sociale e civile del Paese, e per questo accogliamo l’invito dei Vescovi italiani a esercitare il discernimento come «quel processo che porta a riconoscere il bene e induce a ‘prendere parte’, a non cercare il quieto vivere e il conforto dell’abitudine, a non essere spettatori ma corresponsabili del bene comune, decidendo “che cosa fare”, qui e ora».

Un pensiero conclusivo, al termine dell’Assemblea nazionale, lo rivolgiamo ai fratelli e alle sorelle, agli adulti, ai giovani e ai bambini di ogni nazionalità e di ogni religione che ogni giorno rischiano la vita nel Mediterraneo. Questi cinque giorni sono iniziati con la consegna al Papa di una Bibbia trovata sul fondo di un barcone. Si concludono, così desideriamo, con la consegna evangelica della misericordia a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. La «misericordia attiva»[5] che ci dà la forza di accettare i nostri limiti e metterci sempre in ascolto del Signore come discepoli-missionari. Così potremo rispondere all’invito caloroso che Papa Francesco ha rivolto all’intera associazione, riunita in piazza san Pietro: «Cari ragazzi, giovani e adulti di Azione Cattolica: andate, raggiungete tutte le periferie! Andate, e là siate Chiesa, con la forza dello Spirito Santo».

[1]Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al II Congresso del Forum Internazionale di Azione Cattolica, “Azione Cattolica in missione con tutti e per tutti” – Aula de Sinodo, Città del Vaticano, 27 aprile 27.
[2] Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al II Congresso del Forum Internazionale di Azione Cattolica (FIAC), “Azione Cattolica in missione con tutti e per tutti” – Aula de Sinodo, Città del Vaticano, 27 aprile 27-
[3] Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana all’Azione Cattolica Italiana in occasione dei 150° anniversario dalla fondazione – Roma, 20 marzo 2017.
[4] Matteo Truffelli – Relazione alla XVI Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Italiana “Fare nuove tutte le cose. Radicati nel futuro, custodi dell’essenziale” – Roma, 28 aprile/1maggio 2017.
[5] Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al II Congresso del Forum Internazionale di Azione Cattolica (FIAC), “Azione Cattolica in missione con tutti e per tutti” – Aula de Sinodo, Città del Vaticano, 27 aprile 2017-

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Il documento finale della XVI Assemblea nazionale dell’Azione Cattolica Italiana. Fare nuove tutte le cose. Radicati nel Futuro Custodi dell’essenziale

FARE NUOVE TUTTE LE COSE

RADICATI NEL FUTURO CUSTODI DELLESSENZIALE

DOCUMENTO ASSEMBLEARE

 

  1. Introduzione

1.1. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Forte di questa promessa che le viene dalla Parola, impegnata secondo l’invito di Papa Francesco a «rimanere con Gesù», «andare per le strade», «gioire ed esultare sempre nel Signore», l’Azione cattolica oggi sceglie di continuare a camminare, guardando con audacia, gioia e creatività i segni di speranza e di fiducia che si manifestano nel cammino dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, degli adulti, e in quello della Chiesa e dell’Italia.

1.2.Desideriamo ancora una volta leggere la nostra storia per continuare ad essere presenza profetica nei luoghi della vita quotidiana, certi della fedeltà di Dio che, per mezzo dello Spirito, accompagna il nostro percorso e rende nuovo ogni nostro passo.

Come laici di Azione Cattolica ci sentiamo chiamati a scoprire che il Signore abita il cuore di ciascuno, ci rinnova e ci invia: popolo di discepoli-missionari, destinatari e portatori della Misericordia del Padre.

La presenza e l’azione di Dio rendono infatti ogni esistenza degna e sempre nuova.

Le “grandi cose compiute dall’Onnipotente” ci aiutano ad accogliere la vita, tutta la vita, come un dono e come un compito: “Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo” (EG 273).

Siamo uomini e donne, credenti e perciò felici, che scelgono di mettersi insieme per conoscere, amare e seguire il Signore e scoprire «la vita come luogo in cui si fa esperienza del senso profondo dell’incarnazione, lo spazio in cui siamo chiamati a confrontarci con il valore inesauribile dell’unicità di ciascuna esistenza e, al tempo stesso, a fare i conti con il significato profondo della storia dentro cui tutti siamo immersi» (M. Truffelli).

1.3. Vogliamo insieme continuare a leggere ciò che il Signore scrive nella vicenda di ciascuno: accogliamo la vita quotidiana come il luogo nel quale Dio si manifesta, in cui “la Parola si fa carne” tanto nell’ascolto profondo quanto nella testimonianza sincera.

Vogliamo aiutare ogni uomo ad abitare sempre meglio la sua vita ordinaria e feriale (cf. PF 2.3), a divenire cittadino di quella Galilea dove il Risorto ci attende e si lascia vedere (cf. Mc 16, 7). È questo quello che intendiamo per “primato della vita”.

1.4. Da 150 anni abbiamo cercato di fare unità tra fede e vita; di ascoltare i bisogni di tanti fratelli e sorelle, sentendo nostre “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” (GS 1) di ciascuno di essi; di raccogliere le attese dei pastori per camminare insieme; di formare discepoli-missionari che sono divenuti testimoni di santità per tutta la Chiesa.

Oggi desideriamo continuare questo cammino nella Chiesa, imboccando con determinazione la strada indicata da Papa Francesco con l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium per essere evangelizzatori autentici certi che la missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso è una passione per il suo popolo (cfr. EG 268).

Siamo grati al Signore perché crediamo che la nostra Associazione, tesoro di vita e di amore, sia un Suo dono, grazie al quale possiamo scoprire la bellezza della nostra vocazione: ragazzi, giovani, adulti, laici, radicati nel futuro e custodi dell’essenziale!

2. Una preziosa eredità

2.1 Con la XVI Assemblea nazionale cominciano le celebrazioni per i 150 anni dell’Azione Cattolica Italiana. Fare memoria della storia della nostra associazione parte innanzitutto dal riconoscere che in qualunque forma di evangelizzazione il primato è sempre di Dio, che ha voluto chiamarci a collaborare con lui e stimolarci con la forza del suo Spirito. Rileggere allora questo percorso significa ritrovare i mille modi attraverso i quali il Signore ha orientato e accompagnato il cammino dell’Associazione lungo tutti questi anni, ma anche conservare la gioia di essere stati chiamati a un compito tanto esigente e sfidante che prende la nostra vita. Ci chiede tutto ma nello stesso tempo ci offre tutto (EG 12).

Vogliamo così vivere questo tempo come un’occasione preziosa per riscoprire tutti, piccoli e grandi, il valore della nostra vocazione di laici, amati dal Padre, innamorati di Gesù e appassionati del suo Vangelo e della sua Chiesa, per recuperare il valore e il senso duraturo delle idee e delle scelte che, in ogni epoca, hanno consentito all’Azione Cattolica di interpretare la realtà, di rinnovarsi, restando al servizio delle donne e degli uomini di ogni tempo per realizzare con loro una bellissima esperienza di Chiesa.

2.2 Una storia abitata – Betania

È la consapevolezza di una storia abitata dalla presenza di Dio, dall’eterna novità del suo amore (EG 11) per l’umanità così com’è (Gv 3,16-17) ad accompagnarci ad acquisire uno sguardo liberante e profetico sulla storia della nostra associazione.

L’esercizio della memoria grata ci spinge all’individuazione nella storia di ciascun socio, come di ogni associazione parrocchiale e diocesana, di quelle “quattro del pomeriggio” (Gv 1,39 ed EG, 13) ovvero di quell’incontro vero e vivificante con il Signore Gesù per il quale l’esperienza associativa ha rappresentato un canale privilegiato. Vogliamo allora leggere la storia dei 150 anni dell’Azione Cattolica “come motore e non come peso” (Paolo VI): come Betania, luogo in cui avviene l’incontro tra i discepoli e il maestro, storia di una famiglia dedicata alla Chiesa e al Paese che ha voluto, di contesto in contesto, “aiutare gli italiani ad amare Dio e ad amare gli uomini” (Vittorio Bachelet)

2.3 Una storia di corresponsabilità – il Giordano

La storia dell’associazione è stata sin dall’inizio la vicenda di uomini e donne, laici e presbiteri che hanno via via compreso e condiviso, in forza del Battesimo, la comune chiamata alla santità, facendo dell’associazione il luogo in cui aiutarsi a vedere il volto del Figlio di Dio: “volto unico, concreto, irripetibile: volto divino e umano, volto umano di Dio, volto divino di uomo” (PF 2.2).

Sin dagli esordi della gioventù cattolica, laici e presbiteri, popolo e pastori, insieme in “un cammino di fratellanza, di amore e di fiducia” (inserire la fonte), hanno saputo e sanno prendere consapevolmente l’iniziativa e stringere un legame tra di loro.

Questa relazione, prima ancora di essere funzionale alle esigenze dell’apostolato, è immagine di una comunità corresponsabile che vive “con letizia e semplicità di cuore”, sperimentando così “il favore di tutto il popolo” (At 2,47).

Tale esperienza non è riconducibile al consenso dei numeri, ma è l’inevitabile riconoscimento di una buona notizia e di una proposta di vita bella da raccontare.

2.4 Una storia da condividere – il Tabor

La storia dell’associazione nasce dal cuore di giovani che si trovano insieme per vivere esplicitamente la propria fede. Da questo nucleo iniziale, sorto dall’intuizione di Mario Fani e Giovanni Acquaderni, l’esperienza associativa si è fatta intergenerazionale, ha visto coinvolgere uomini e donne, studenti e lavoratori, bambini e ragazzi, si è fatta carico del futuro del Paese, ha assunto l’istanza conciliare di ordinare le cose del mondo secondo Dio attraverso la scelta religiosa e la scelta democratica. È un percorso che ci richiama all’esperienza degli apostoli sul Tabor, all’azzeramento delle distanze fra la contemplazione e l’azione, fra il discepolato e la missione, fra la formazione e la testimonianza di vita. L’incontro con il Signore della storia si fa esperienza di bellezza (Mt 17,4) nell’ascolto della Parola, nella partecipazione sacramentale, nella vita comunitaria: questa formazione a misura di ciascuno, unitamente ad uno sguardo amorevole per la vita di ogni persona, ha condotto l’associazione ad essere risorsa per la Chiesa e per il Paese, lievito della novità evangelica e sostegno della società democratica.

2.5 Una storia che continua – Fino ai confini della terra

Nella sua continuità storica e nell’accoglienza della Spirito di Colui che “fa nuove tutte le cose”, l’Azione Cattolica fa suo, ancora oggi, il mandato di Gesù sul Monte dell’Ascensione (At 1,8). Ecco allora riproporsi a noi, che di questa storia siamo oggi i protagonisti, l’invito a essere testimoni fino ai confini del mondo, imparando dall’orizzonte ad abbracciare tutto l’umano e a congiungere le profondità dei cieli e le altezze della terra.

I confini della terra sono oggi il tempo e lo spazio in cui abitiamo, la società, la cultura, i problemi in cui gli uomini sono immersi. Questi confini ci spingono a cercare strade nuove e a proporre soluzioni differenti per essere l’Azione Cattolica che da un lato resta fedele all’intuizione originaria e alle scelte fondamentali che si sono sviluppate in 150 anni, ma che dall’altro assume il progetto dell’Evangelii Gaudium: essere tutti discepoli-missionari, in virtù del Battesimo ricevuto.

2.6 Guardiamo avanti e orientiamo i nostri passi a partire da alcune scelte fondamentali che oggi rinnoviamo perché rappresentano ancora il nostro modo di vivere da protagonisti questo tempo.

  1. La scelta religiosa, che: «È capacità di aiutare cristiani a vivere la loro vita di fede in una concreta situazione storica, ad essere “anima del mondo”, cioè fermento, seme positivo per la salvezza ultima, ma anche servizio di carità non solo nei rapporti personali, ma nella costruzione di una città comune in cui ci siano meno poveri, meno oppressi, meno gente che ha fame». (Vittorio Bachelet)
  2. La vita laicale, vera vocazione – ricevuta nel Battesimo e riconosciuta con il Concilio Vaticano II – a essere nel mondo per cercare il Signore presente nella storia per impegnarci nell’accoglienza delle logiche del suo Regno.
  3. La popolarità, caratteristica essenziale di un’associazione fatta di persone e non di leader, aperta davvero a tutti, in ogni condizione di vita ed età, coraggiosa nell’ “uscire”, capace di parlare i linguaggi ordinari e quotidiani e di “interpretare le domande profonde di ogni persona” (cfr. PF 4).
  4. La corresponsabilità nella vita della Chiesa, in virtù di un’appartenenza piena che viene dal battesimo e che domanda di mettersi in gioco totalmente come discepoli-missionari.
  5. Un’appartenenza che trova la sua concretezza nella “diocesanità”: scelta di dedizione alla Chiesa locale e di piena corresponsabilità con il suo vescovo.
  6. La democrazia interna, che nasce dal sentirsi Popolo di Dio ed è speciale esperienza di discernimento: frutto dello Spirito e non ricerca di consenso e maggioranze, capace di coltivare in ciascuno, e nell’associazione tutta, responsabilità che fanno crescere coinvolgendo altri.
  7. L’intergenerazionalità come ricchezza che accoglie nel circuito formativo energie, sensibilità, prospettive diverse, che considera ogni persona alla pari delle altre, che valorizza, rispetta e accompagna tutte le età soprattutto nella concreta realizzazione di progetti ed esperienze unitarie.
  8. L’impegno formativo in tutte le stagioni della vita, attraverso quella scelta particolare che è l’esperienza di gruppo e nella continuità dei cammini formativi, per prendere coscienza della propria vocazione grazie anche alla vita associativa, nel confronto tra persone differenti.

3. “La realtà è più importante dell’idea”: attenti al contesto

3.1 Consapevoli che la realtà nella sua complessità è abitata da Dio e che nelle sue forme attuali ci interpella a una maggiore fedeltà al Vangelo, i soci di AC a partire dalle associazioni di base fino alle diocesi e ai livelli regionali, si sono interrogati insieme sulle opportunità e i problemi presenti nel proprio contesto e sulle possibili azioni che come laici associati possono intraprendere.

Questo approccio alla realtà, fatto di ascolto e di discernimento, è quello sotteso all’appello dell’enciclica Laudato si’ che ci invita a fare nostro il paradigma dell’ecologia integrale, secondo cui «tutto è in relazione». Questa chiave di lettura è capace di integrare nelle sue diverse dimensioni il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda.

Tra le tante sfide individuiamo alcune priorità da ascoltare, per trovare nuove prospettive da accompagnare con la preghiera incessante, con la nostra attività formativa, e con l’impegno attivo e concreto.

3.1. bis DIFESA DELLA VITA

Innanzitutto reputiamo necessario ribadire la dignità e, di conseguenza, l’inviolabilità della vita umana dal suo concepimento alla morte naturale, opponendosi a quella che papa Francesco ha definito “cultura dello scarto”, cioè quella visione che ritiene la vita umana sacrificabile nel caso in cui essa non sia desiderata o sufficientemente produttiva. In virtù della nostra fede ci sentiamo chiamati a “contribuire a riconoscere nella vita umana la dimensione trascendente, l’impronta dell’opera creatrice di Dio, fin dal primo istante del suo concepimento”  (udienza di papa Francesco ai ginecologi cattolici)

3.2 Ambiente

Una priorità è quella dell’ambiente, che rileva la connessione tra temi collegati alla salvaguardia del creato e temi legati alla giustizia sociale. Tanti territori della nostra Penisola, infatti, sono stati deturpati dall’incuria, dalla corruzione e da scelte irrispettose verso la natura, altri, invece, colpiti da catastrofi naturali, necessitano di sostegno continuo. Il primo impegno è la formazione a scelte critiche consapevoli che si traducono in azioni coerenti e nuovi stili di vita.

3.3 Lavoro e nuove povertà

Come ci ha ricordato il Presidente della Repubblica: «Il problema numero uno del Paese resta il lavoro. Combattere la disoccupazione e, con essa, la povertà di tante famiglie è un obiettivo da perseguire con decisione. Questo è il primo orizzonte del bene comune»[1].

Nonostante il lento miglioramento dell’occupazione in Italia, la questione più rilevante rimane quella della qualità del lavoro e del rispetto della dignità del lavoratore. Negli ultimi anni si è avuta una transizione epocale che ha visto il mondo del lavoro investito da vasti e radicali cambiamenti culturali e strutturali, in contesti spesso privi di supporti legislativi, formativi e di assistenza sociale (Compendio della Dottrina Sociale n. 314) che hanno contribuito alla creazione di nuove povertà, in un‘Italia già abitata da circa sette milioni di poveri[2]. Alla strutturale difficoltà di accesso al lavoro, si aggiunge lo spreco di risorse, come nel caso dei NEET (ossia giovani che non studiano e non lavorano) ed una nuova categoria sociale dei working poor, coloro che pur lavorando non riescono ad essere autosufficienti. Non solo il lavoro manca, ma spesso è precario, sottopagato e svolto in condizioni difficili.

3.3 bis Politica

Il tessuto politico nel quale viviamo, sta subendo grandi cambiamenti, si trova in una situazione di difficoltà non riuscendo più a intercettare le esigenze dei cittadini. Il disinteresse e la mancanza di fiducia sempre più crescenti, hanno portato a un impoverimento della cultura politica del Paese. L’Azione cattolica, grazie alla propria struttura democratica, diventa esortazione all’impegno e alla responsabilità sociale ed è aggancio fondamentale per poter restituire credibilità e dignità al valore della politica. Per questo l’associazione si impegna a creare coscienze critiche e a sviluppare scelte concrete nell’ambito politico. Prendendo per mano tutti coloro che sentono una vocazione al bene comune e accompagnando, in particolar modo, gli aderenti direttamente impegnati in politica

3.4 Migranti

La crescente povertà aggravata dal degrado ambientale ha prodotto un aumento del numero di migranti da cui non possiamo distogliere lo sguardo. Tanti fratelli migranti arrivano in Italia e spesso non trovano salvezza ma altro sfruttamento. Nel rispetto della sicurezza, resistiamo ai discorsi di chi strumentalizza il dramma dei profughi per fomentare la paura.

L’accoglienza di chi scappa da guerra, povertà e persecuzione ci rivela che l’incontro con questi fratelli è una grazia, perché nel contatto con la loro fragilità ci riscopriamo fragili a nostra volta e abbandoniamo le nostre comode certezze per aprirci a una nuova fraternità. È anche una responsabilità perché ci chiede di attuare nuovi processi per trasformare la prima accoglienza in cammini sostenibili sulla lunga distanza.

3.5 Questione educativa

In tanti contesti siamo coinvolti in situazioni che segnalano l’urgenza della questione educativa. Sono tante le sfide che ci interpellano: le potenzialità e i rischi della rivoluzione digitale, la difficoltà del dialogo tra generazioni, la fatica di un mondo adulto a vivere la responsabilità educativa.

C’è bisogno di dare sempre più spessore alla formazione di adulti, giovani e ragazzi, attraverso una «nuova alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale»[3]. È necessario per questo un lavoro paziente e rigoroso, per cercare sempre una sintesi esistenziale e culturale dei processi educativi. Questa problematicità è anche una provocazione a riscoprire come fondamentale il criterio antropologico della fedeltà alla vita sino in fondo, una vita illuminata dal Vangelo, in tutta la sua complessità. È essenziale una particolare attenzione a coloro che vivono nella condizione di disabilità fisica e/o psicologica, oppure che affrontati situazioni di disagio sociale.

Luogo centrale della sfida educativa è la scuola. «Amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello», ha detto Papa Francesco. In questo momento storico, segnato dalla fatica del confronto a tutti i livelli, sentiamo il bisogno di una scuola che educhi alla convivenza civile e alla costruzione di alleanze. Come associazione cerchiamo già di favorire questo servizio, grazie all’impegno dei molti studenti, insegnanti e dirigenti soci di Ac che si spendono con passione negli istituti di ogni ordine e grado.

3.6 Famiglia

Camminiamo insieme a tutte le famiglie, in tutte le situazioni della vita, per condividere la «gioia dell’amore» ricordata da papa Francesco nell’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia.

Le famiglie oggi sono sfidate da una molteplicità di condizioni: nuovi modi di vivere i legami, fragilità, analfabetismo affettivo. Mentre si assiste a una crescita delle fatiche, aumenta anche l’esigenza di testimoniare che la scelta del sacramento del matrimonio è un dono grande della vita, si rinnova con la Grazia di Dio tra gioie e cadute ed è generativa per il bene di tutta la società.

3.7 Parrocchia

Guardando al contesto ecclesiale, avvertiamo che molte delle “cose di prima” (iniziative, percorsi, modi di aggregare e agire) o non sono più proponibili, o non hanno più la forza di una volta, rischiando di esaurirsi in processi autoreferenziali. L’epoca nella quale la parrocchia era la “fontana del villaggio”, intesa anche come luogo fisico di riferimento per i riti e i ritmi della gente, è giunta a una svolta, è giunta a una svolta, anche laddove se ne apprezza  la funzione sociale. Tuttavia, la parrocchia resta per l’AC, un luogo privilegiato di evangelizzazione dove poter rispondere al desiderio di fede che ancora emerge nell’uomo di oggi.

3.8 Conversione missionaria

Ci interroga l’invito di Papa Francesco a un improrogabile rinnovamento ecclesiale abbandonando il criterio del «si è sempre fatto così» (EG 33) e compiendo un’autentica scelta missionaria «capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie» (EG 27).

In questo cambiamento d’epoca in atto anche in ambito ecclesiale si constatano segni contraddittori. Da un lato resistono forme di chiusura che il Papa indica come “Chiesa malata”, dall’altro la Chiesa è sempre di nuovo “ringiovanita” dall’azione dello Spirito che cammina davanti a lei, le apre la via, suscita nuove energie. È segno evidente di questa azione profetica l’indizione di un Sinodo che pone a tema “Giovani, fede e discernimento vocazionale”, con il grande desiderio di consegnare il Vangelo alle nuove generazioni di tutti i continenti, perché, a loro modo, gioiscano di questo dono. La gioia innerva anche la riflessione post-sinodale sulla famiglia (Amoris Laetitia) e nutre uno stile nuovo di ascolto, accoglienza, accompagnamento senza ingenuità, ma anche senza durezza di cuore, delle tante situazioni che oggi compongono le relazioni familiari. La matrice di questo magistero di Francesco è Evangelii Gaudium che riporta alla freschezza del Concilio e invita a procedere nella trasformazione missionaria della Chiesa.

3.9 Davanti a questa realtà siamo chiamati a dare priorità al tempo e avviare umilmente processi, piuttosto che occupare spazi. Come ricorda papa Francesco in Evangelii Gaudium, «dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione» (EG 223). L’Azione cattolica, in ogni territorio d’Italia, è chiamata a individuare le priorità su cui impegnarsi e a generare processi possibili e realizzabili.

4. “Il tempo è superiore allo spazio”:

 quali processi generare per questo contesto

Il rischio di uno slogan

4.1. La scelta di metterci a servizio del contesto sociale, culturale, ecclesiale nel quale viviamo per trasformarlo da dentro, gettando in esso il seme buono del Vangelo ci chiede di «generare nuovi dinamismi». L’indicazione di papa Francesco (EG 223) ha in sé il fascino della profezia e l’efficacia della lettura dei segni dei tempi. Proprio per questo è importante impegnarci perché innanzitutto nella nostra associazione l’affermazione di Evangelii gaudium non venga ridotta a uno slogan, a una formula di rito che autorizzi l’attendismo inoperoso o, peggio, il crogiolarsi nel “si è sempre fatto così”, come se la ripetizione di prassi consolidate potesse consentire l’accesso al cuore dell’uomo di oggi.

4.2. «Generare processi» significa per noi abbracciare quella creatività che è inscritta nella vita, che mai è uguale a sé stessa, mai è scontata, mai si arresta, anche di fronte a esperienze apparentemente di sconfitta. Significa fare nostra la logica del «seminatore che uscì a seminare» (Mt 13,3), nella consapevolezza che il seme cresce inosservato, sotto la coltre del terreno. È anche imparare dalla natura a seminare non in estate, quando i frutti invoglierebbero all’opera ed il lavoro sembrerebbe meno faticoso, ma in inverno, quando lo stesso circuito naturale pare andare verso il tramonto. «Generare processi» vuol dire per noi accompagnare e sostenere continuamente ciascuno nel suo cammino verso e dentro una vita di fede capace di illuminare l’esistenza in tutte le sue stagioni, condizioni, ricchezze e difficoltà. È far crescere e maturare credenti e comunità di credenti capaci di generare vita evangelica, e perciò capaci di accompagnare altri nel percorso della vita.

4.3. «Generare processi» non vuol dire dunque la ricerca del nuovo fine a sé stesso, ma il tentativo di vivere in profondità l’unico modo di essere fedeli alla storia. Nuovo è il messaggio del Vangelo per questo tempo, ricco di grandi potenzialità e di aperture sul futuro, di acquisizioni scientifiche e culturali, ma stretto anche fra ingiustizie, violenze, banalizzazioni, distorsioni ideologiche, processi di secolarizzazione. Sempre diversi sono gli uomini e le donne ai quali annunciare che solo in Cristo si realizza la piena umanità (GS 22).

4.4. Per innescare un dinamismo capace di generare processi, allora, ci è chiesto di superare un modello di evangelizzazione racchiusa su sé stessa, che coinvolge sempre le stesse persone. Così come occorre superare il perfezionismo che troppo spesso immobilizza, o all’opposto l’improvvisazione che rende il moto privo di una direzione. Non dobbiamo nemmeno confondere il dinamismo con la mania dell’organizzazione, che ripone troppa fiducia nel “come” mentre toglie sapore al “cosa”, smarrisce di frequente il “perché”, riduce a semplice strumento il “con chi” dell’annuncio cristiano. Ecco allora che i processi che vogliamo generare possono essere capaci anche di tenere insieme la dimensione della vita sociale e civile con quella ecclesiale, evitando tanto una separazione arbitraria ed inefficace quanto una confusione, che rischiano di ridurre l’esperienza associativa all’essere esclusivamente un gruppo di operatori pastorali.

Quali processi c’è allora bisogno di generare per il nostro tempo?

4.5 Sinodalità. «[…] il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi). In un contesto sociale ed ecclesiale caratterizzato da frammentazione e individualismo, nel quale le differenze vengono spesso avvertite come ostacoli inconciliabili con l’identità, siamo chiamati a stimolare processi di “cattolicità attiva” (don Tonino Bello). Dove le ragioni per dividere sembrano innumerevoli, generare processi di questo tipo significa trovarne sempre una di più per stare insieme. Ci sentiamo interpellati a distinguere le criticità che dividono – che vanno riconosciute e assunte, in virtù della comune appartenenza alla Chiesa e al Paese – dalle differenziazioni che sono in grado di incoraggiare il dibattito e la capacità vicendevole di incontrarsi su un terreno comune. È un processo di sintesi che non annulla le differenze, ma rende invece manifesta nel suo stesso svolgersi la carità cristiana. Si tratta di creare e coltivare “legami di vita buona” per costruire un dialogo sinodale tra diverse sensibilità ecclesiali svolgendo come AC un ruolo propositivo e progettuale  a favore di tutte le espressioni di laicato organizzato, per dare insieme voce più ampia alla condizione di un cristianesimo normalmente in uscita e dentro le vicende del quotidiano. L’Azione cattolica alla luce della sua storia di impegno culturale e civile è anche chiamata in modo nuovo a favorire, attraverso l’ascolto, la ricerca di prospettive comuni tra visioni politiche, culturali e antropologiche distanti.

Proprio per questo il nostro tempo ci chiede di continuare a scommettere sull’intergenerazionalità quale colonna portante della vita comunitaria, di proseguire a formarci a una relazione autentica con i pastori che muova da una sincera fraternità vissuta nella comune dignità, di coltivare le occasioni di esercizio della corresponsabilità, avendo cura in maniera particolare degli organismi che l’associazione si è data per questo: presidenze, consigli, assemblee da abitare come reali luoghi di discernimento. In quest’ottica è cruciale acquisire sempre maggior consapevolezza del valore dell’essere associazione: si tratta di saper vivere in profondità, ma anche di saper raccontare la bellezza e il significato dell’essere laici associati, che desiderano camminare dentro la Chiesa e il mondo non individualmente, ma insieme, come popolo che concorre a far germogliare e a rafforzare la trama dei legami di un popolo più grande, come lievito nella pasta della comunità ecclesiale.

4.6 Accompagnamento personale dei processi di crescita. «In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, […] la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro» (EG 169). In un contesto segnato dalla tristezza individualista siamo chiamati a favorire esperienze di cura e accompagnamento nell’ordinarietà della vita di ciascuno.

Avviare tale processo significa condividere i passaggi essenziali della vita e in modo particolare in quelli in cui tutti noi sperimentiamo la precarietà e il lutto, la solitudine e l’esclusione, la povertà e la malattia.

Una vicinanza da vivere non in qualità di esperti, addetti ai lavori, tecnici di un’esistenza riuscita, ma di discepoli-missionari che mettono in circolo quanto sperimentato alla sequela del Maestro come ricchezza per qualunque contesto di vita. Per innescare processi positivi dobbiamo impastarci con la realtà, tessendo relazioni che, a partire dai contesti associativi, vadano al di là dei gruppi. Un particolare ambito di attenzione ai processi personali e di crescita è da esercitare nei confronti dei giovani, cosa cui ci richiama il prossimo Sinodo. «La vocazione all’amore assume per ciascuno una forma concreta nella vita quotidiana attraverso una serie di scelte […]. Lo scopo del discernimento vocazionale è scoprire come trasformarle, alla luce della fede, in passi verso la pienezza della gioia a cui tutti siamo chiamati». (Documento preparatorio del XV Sinodo dei Vescovi, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale). Una vita vissuta in pienezza ha lo spessore della complessità. Avviare processi di discernimento significa aiutare ciascuno ad assumere la vita come vocazione alla santità e a gustare il sapore di una vita compresa alla luce della fede. Significa richiamare ragazzi, giovani e adulti a quel “donarsi alla buona” (don Primo Mazzolari) che traduce la partecipazione in corresponsabilità per la Chiesa e per il Paese, che non inchioda di fronte al “come si dovrebbe essere e fare” ma richiama ad “essere e fare secondo la disponibilità di adesso”, nella logica della gratuità. È un processo realizzabile, in compagnia gli uni degli altri, facendo nostro con coraggio lo stile sinodale sperimentato nel convegno ecclesiale di Firenze.

4.7 Processi di discernimento. In un contesto in forte mutamento, un processo da potenziare è sicuramente quello volto a cogliere i cosiddetti “segni dei tempi” assumendo come oggetto/soggetto di discernimento la cultura corrente, plasmata da attori, eventi, scenari inediti. La valorizzazione delle competenze professionali di ciascuno rappresenta un primo modo, alla portata di tutti, per vivere un legame continuo, aggiornato, operativo nell’oggi. Un secondo livello da valorizzare sono i legami tra enti e istituti dentro e fuori il mondo ecclesiale che sono osservatori, luoghi di approfondimenti su diversi versanti dell’attualità con particolare attenzione ai fenomeni demografici, socio-economici e politici che maggiormente plasmano la realtà. Un terzo livello per curare questo processo è quello legato ai luoghi e ai tempi da definire per realizzare un confronto stabile tra i soggetti sopra indicati (forum, tavoli di confronto, giornate di studio promosse da più associazioni…).

4.8 Processi di riforma dei linguaggi. «Gli enormi e rapidi cambiamenti culturali richiedono che prestiamo una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità» (EG 41). Una comunicazione che non tenga conto di tutti gli elementi coinvolti in essa è inefficace. Siamo chiamati a fare nostro un modo di comunicare che sia capace realmente di parlare all’esistenza delle persone perché nasce dalla vita e racconta la vita. Non c’è infatti un tempo nel quale il Vangelo non possa essere annunciato: dovranno cambiare linguaggi, modalità, ma non quello slancio che da duemila anni spinge tutto il Popolo di Dio a prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare, festeggiare (cfr. EG 24).

4.9 Processi di riforme strutturali ai fini di un nuovo slancio missionario. «Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore; ugualmente, le buone strutture servono quando c’è una vita che le anima, le sostiene e le giudica. Senza vita nuova e autentico spirito evangelico, senza “fedeltà della Chiesa alla propria vocazione”, qualsiasi nuova struttura si corrompe in poco tempo» (EG 26). Abbiamo bisogno di riempire sempre più di senso le forme organizzative che abitiamo, in ambito ecclesiale, associativo e civile, affinché rimangano o tornino a essere strumenti adeguati della vita comunitaria. Intervenire sui luoghi e sulle consolidate modalità di lavoro deve servire per fare di essi spazi e occasioni di servizio della corresponsabilità. Il mantenimento della vitalità delle forme organizzative e il loro rinnovamento chiede altresì di disporre e gestire i beni in funzione della costruzione del bene comune.

5. “Il tutto è superiore alla parte”:

 quale AC per generare processi in questo contesto

Un’Ac fedele alle sue radici e per questo fonte di rinnovamento

5.1 L’Azione cattolica italiana vuole concorrere a «far nuove tutte le cose» e divenire protagonista dei processi sopra indicati, lasciandosi attrarre e “contagiare” dalle prospettive tracciate nella Evangelii Gaudium, accogliendo innanzitutto l’invito a rinnovare se stessa per divenire sempre più strumento adeguato a questo compito. Ci chiediamo perciò di quale Azione Cattolica c’è bisogno per generare processi adeguati a evangelizzare il nostro tempo.

5.2 La nostra storia è fonte di ispirazione e tesoro a cui attingere per rinnovarci: come agli inizi, 150 anni fa, desideriamo essere laici secondo il modo proprio dell’Ac che si associano per vivere la fede e per edificare la Chiesa, corresponsabili con i presbiteri. Come abbiamo cercato di dire nella prima parte di questo documento, la fedeltà alla storia è capacità di rimanere fedeli all’essenziale nei mutamenti del tempo. Esercizio che esige una interpretazione creativa della nostra vocazione originaria, cioè del nostro modo di essere a servizio della missione della Chiesa nel mondo e per il mondo. È questo ciò a cui è proteso tutto il nostro progetto formativo: «La meta della formazione dell’Azione Cattolica è quella di accompagnare i suoi aderenti ad essere laici capaci di vivere in modo autentico e originale la propria esperienza cristiana nella storia e nel mondo. Il progetto formativo sintetizza questa meta con l’espressione evangelica “nel mondo, non del mondo” (Progetto formativo, 4.0). Questo è l’essenziale da custodire, non ponendolo sotto terra come l’unico talento da trattenere, ma trafficandolo con generosità e speranza, nell’orizzonte di una storia già abitata da Dio, per essere fermento di “trasformazione missionaria della Chiesa”.

Un’ Ac per essere evangelizzatori gioiosi

5.3 «Custodire l’interiorità è esercizio necessario per giungere ad una piena umanità» (Progetto formativo, 4.2).

«Il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile» (EG 82).

La dimensione profonda del nostro legame associativo è l’apostolato, generato dalla fede, da riscoprire e alimentare sempre per essere evangelizzatori gioiosi.

In primo luogo è allora necessaria una Ac che tenga alta la misura della vita spirituale: uomini e donne umili e forti, «che pregano e lavorano» (EG 262), laici «contemplattivi» (don Tonino Bello), resi coraggiosi e vivaci dalla forza dello Spirito, capaci di essere in questo tempo Chiesa accogliente, «ospedale da campo», Chiesa della misericordia, in virtù di una tensione continua e aperta alla conversione.

5.4 La fedeltà alla nostra storia e all’invito che da essa ci giunge di continuare a perseguire la santità nel quotidiano, ci spinge a ricercare nuove forme per vivere una autentica spiritualità laicale, che ci permetta di abitare l’ordinarietà come discepoli-missionari, testimoni della gioia del Vangelo. Attenti a non confondere la vita spirituale «con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione» (EG 78).

5.5 Per questo intendiamo:

  1. sviluppare la ricerca di strumenti e percorsi spirituali capaci di nutrire la vita di ogni persona, perché diventi passione e impegno per il mondo, a partire dall’ascolto della Parola e dalla presenza di Dio nella storia;
  2. educare ragazzi, giovani e adulti a coltivare luoghi e tempi dedicati allo spirito;
  3. valorizzare la casa san Girolamo a Spello, come laboratorio di vita spirituale e come luogo di elaborazione culturale.

Un’ Ac per essere laici testimoni credibili «nel mondo ma non del mondo»

5.6 «Il mistero dell’incarnazione ci radica in pienezza nel nostro tempo, ci spinge ad essere pienamente cittadini e a prenderci cura dei luoghi, delle realtà delle persone che ci sono accanto» (Progetto formativo, 4.2).

«Dal cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice» (EG 178).

È ancora la nostra storia a invitarci a riconoscere nella realtà l’opera dello Spirito e a concorrere da laici alla vita della Chiesa e all’esercizio della testimonianza nel quotidiano, nei cambiamenti in cui viviamo. Consapevoli che «quando in un popolo si è inculturato il Vangelo, nel suo processo di trasmissione culturale trasmette anche la fede in modi sempre nuovi» (EG 122), avvertiamo l’invito a vivere il Vangelo immersi in questo tempo, con il coraggio di tenere aperti gli occhi sulla realtà. Particolarmente preziosi, in questo senso, sono i movimenti di Ac, e in modo particolare il Msac e il Mlac, forma significativa di presenza dell’Associazione dentro ad ambiti cruciali per la vita del nostro tempo e per il futuro del nostro Paese, quali il mondo della scuola e del lavoro.

5.7 È necessario allora avere una costante attenzione e una affinata capacità di lettura della realtà, per comprenderla e trasformarla. Come associazione siamo chiamati a rinnovare la nostra attitudine a fare del discernimento comunitario il criterio essenziale da vivere in una pluralità di forme, luoghi, tempi, dinamiche. Siamo chiamati ad abitare il nostro tempo con slancio missionario. In questo orizzonte scegliamo con ancora più determinazione di:

  1. promuovere l’associazione e coltivare i legami associativi, perché soprattutto oggi, nel tempo degli individualismi, essere associazione – con le sue dinamiche missionarie, corresponsabilizzanti, democratiche, inclusive – è un’esperienza in se stessa formativa ed evangelizzatrice, promotrice di relazioni fraterne e di partecipazione responsabile alla vita della Chiesa e del territorio;
  2. Diventare un’associazione più popolare, più incarnata, più materna facendoci accoglienti e custodi della concreta esistenza di chiunque desideri far parte dell’AC.
  3. incoraggiare e diffondere, facendone un’esperienza ordinaria, la creatività e la concretezza con cui l’Associazione, ai suoi vari livelli, dà vita a iniziative di promozione umana, di cura del bene comune, di formazione socio-politica e culturale, di vicinanza a chi soffre e di salvaguardia del territorio.
  4. avere cura dei percorsi e degli strumenti di autoformazione e di formazione di gruppi per ogni fascia d’età, con particolare attenzioni alle figure degli animatori adulti, degli educatori dei giovani e dei ragazzi, figure da formare e rimotivare;
  5. contribuire con animo grato al rinnovato slancio missionario con e per i giovani suggerito dal prossimo Sinodo “Giovani, fede e discernimento vocazionale”, come grande impegno di inculturazione della fede nell’oggi. Per questo è necessario continuare a sostenere il protagonismo dei giovani nel cammino preparatorio e di ricezione, accompagnando e sostenendo la loro responsabilità;
  6. prestare una particolare attenzione a coloro che per differenti ragioni si trovano a vivere una condizione di precarietà, di sradicamento territoriale, di pendolarismo, di frammentazione dei tempi e degli spazi della vita, promuovendo con convinzione, ad esempio, i progetti per i fuorisede. A costoro dobbiamo offrire accoglienza e sostegno, valorizzandoli anche attraverso la sperimentazione di nuove occasioni di vita associativa;
  7. accompagnare, secondo le indicazioni di Amoris Laetitia, fidanzati e sposi, figli e genitori a vivere l’esperienza di famiglia come soggetto di evangelizzazione e come spazio di condivisione, di vicinanza, ascolto, aiuto e reciproco sostegno tra le famiglie, soprattutto a favore di quelle fragili e in difficoltà;
  8. promuovere e sostenere il cammino dei Movimenti (MSAC, MLAC, MIEAC, FUCI, MEIC, GIOC) come attenzione dell’associazione agli ambienti di vita;
  9. dotarsi a tutti i livelli di strumenti qualificati e mezzi di comunicazione all’altezza dei tempi, capaci di attivare processi di comunicazione innovativi nei linguaggi e nelle modalità. In questa direzione siamo chiamati, in una rinnovata collaborazione tra le energie e le risorse del Centro nazionale con quelle del territorio, a promuovere ulteriormente la variegata produzione culturale veicolata dalle pubblicazioni dell’AVE, ad abitare con intelligenza e cuore l’ambiente dei social network, ad avere cura dei siti dell’Associazione, rilanciandone i contenuti, a sostenere la diffusione delle riviste digitali, e infine, a valorizzare l’investimento culturale che l’Associazione conduce attraverso specifici organismi (la rivista Dialoghi, gli Istituti, il Centro Studi)

Un’ Ac palestra di sinodalità e comunione ecclesiale

5.8 «In quanto corpo di Cristo, la comunione è l’anima della Chiesa. […] Ciò significa vivere la comunione come un’esigenza oggettiva della nostra fede, che si fa attorno al Vescovo, uniti a tutta la Chiesa universale» (Progetto formativo, 4.2).

«È nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo. Se vive questa sfida, la Chiesa può essere un modello per la pace nel mondo» (EG 130).

La nostra tradizione ci ha consegnato un impegno forte alla coltivazione e all’esercizio della comunione dentro la Chiesa: tra i diversi soggetti del Popolo di Dio, tra diverse vocazioni e ministeri, tra i diversi livelli della vita ecclesiale. Oggi l’esercizio della comunione è invito esplicito a edificare e testimoniare una Chiesa sinodale, facendo assaporare la bellezza di essere Chiesa Popolo di Dio dai molti volti, popolo per tutti i popoli, dove tutti sono chiamati a una piena partecipazione per una più ampia missione che non conosce confini o esclusioni.

5.9 Alla luce della nostra storia risulta che il modo più credibile per favorire la comunione e la sinodalità è praticarla. Ciò significa concretamente:

  1. valorizzare l’intergenerazionalità e l’unitarietà a tutti i livelli di vita e di responsabilità associativa, avendo cura di rilanciare una sinergia costante e propositiva tra tutte le componenti dell’Associazione, con particolare cura ai passaggi associativi;
  2. ribadire e approfondire il significato della scelta per la Chiesa locale, compiuta dall’Associazione alla luce del Concilio. Soprattutto in quelle realtà in cui è in atto un processo di ristrutturazione delle suddivisioni territoriali nelle diocesi, ma non solo in quei contesti, siamo chiamati a farci promotori di un’autentica condivisione delle scelte pastorali diocesane, aiutando le parrocchie a camminare con lo stesso passo e nella stessa direzione e, al tempo stesso, facendole sentire coinvolte in un percorso condiviso;
  3. essere presenza attiva e propositiva negli organismi di partecipazione ecclesiale e di coordinamento e collaborazione tra associazioni e movimenti: le consulte diocesane e nazionali, i tavoli di coordinamento. Organismi che possono funzionare solo se fondati su legami fraterni, improntati alla stima reciproca;
  4. facilitare le relazioni tra organizzazioni internazionali cattoliche, valorizzando in particolare la realtà ricca e variegata del FIAC e le esperienze di gemellaggio di diocesi e regioni con le Chiese e con le associazioni di altri Paesi.

Un’ Ac esperienza di corresponsabilità laicale

5.10 «Il modo di vivere nella Chiesa che corrisponde al carisma dell’AC è la corresponsabilità» (Progetto formativo, 4.2).

«Soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso Dio» (EG 111).

Un bisogno specifico di questo tempo è la cura dei rapporti con i vescovi e i presbiteri, non solo nella dimensione organizzativa, ma soprattutto nella fraternità. Così riteniamo di favorire una più profonda comprensione della nostra “collaborazione” (Statuto, art.1), in chiave di corresponsabilità nella missione che nasce dalla stessa fede battesimale che ci porta a servire con passione il Vangelo.

Curare questa dinamica è un modo per favorire la sinodalità, che comporta:

  1. dedicare un’attenzione particolare alla relazione concreta e costante tra laici e presbiteri, facendo del rapporto di cura reciproca con i nostri assistenti un’esperienza esemplare e possibile di corresponsabilità;
  2. proporre nei percorsi formativi dei seminaristi la conoscenza delle realtà associative presenti sul territorio e continuare a coinvolgere i seminaristi in esperienze associative;
  3. reinterpretare secondo le indicazioni conciliari e di Evangelii Gaudium (EG 76-109) i rapporti dentro la Chiesa in modo da favorire una più profonda relazione, capace di superare la tentazione del clericalismo e la riduzione dei laici a semplici operatori pastorali;
  4. porre a servizio della Chiesa in uscita il valore aggiunto del nostro essere laici associati nella ricchezza di esperienze, competenze, legami, vissuti, relazioni.

Un’Ac libera per la missione, capace di scelte coraggiose nel segno del Vangelo

5.11 «Viviamo nel mondo riconoscendone il valore, ma liberi da ogni logica che lo assolutizza e ne fa un idolo. Si può essere cristiani solo a condizione di compiere delle scelte, consapevoli che non tutte quelle possibili sono compatibili con il Vangelo» (Progetto formativo, 4.0).

«La sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante. Non è meno vita, non è bassa intensità, ma tutto il contrario» (Laudato si’ 223).

Camminare nella storia significa rischiare di assumerne tutte le logiche, anche quelle che inducono a credere nei mezzi del mondo: del più forte, dell’accumulo, del godimento. Abitare la storia da cristiani significa invece essere disponibili alla conversione continua, a purificarsi da strutture mondane per essere liberi di vivere la forza provvidenziale e profetica del Vangelo. In questa linea va declinato il nostro rapporto di laici con il potere politico, economico, culturale: la scelta religiosa compiuta dalla nostra Associazione fu e continua ad essere anche una scelta di povertà rispetto ai mezzi tipici di ogni forma di potere.

5.12 L’uso solidale dei beni, la scelta della sobrietà, la necessaria sostenibilità anche della vita associativa, la condivisione con chi oggi è in difficoltà, l’atteggiamento non di proprietari, ma di amministratori fedeli delle ricchezze che il passato ci ha consegnato e di cui dobbiamo disporre responsabilmente, diventano segno eloquente del desiderio di attuare l’inclusione sociale dei poveri. Per questo riteniamo sia necessario:

  1. adottare con sempre maggior rigore criteri di sobrietà, solidarietà e trasparenza per tutte le attività e iniziative dell’Associazione;
  2. rinforzare il legame di reciproco sostegno che esiste tra i diversi livelli dell’associazione, nella consapevolezza che la condivisione delle responsabilità passa anche attraverso il comune impegno a sostenere la vita associativa;
  3. dare attuazione a forme nuove di finanziamento dell’associazione e, al contempo, impegnarsi per una gestione del patrimonio coerente con le sue reali possibilità economiche;
  4. ripensare a tutti i livelli le funzioni e le forme organizzative a servizio dell’Associazione, per adeguarle alle esigenze e alle risorse disponibili.

6. “L’unità prevale sul conflitto”: quali alleanze costruire

6.1 È costruendo alleanze che si può cercare di dar seguito a un’attenta lettura del contesto, all’individuazione dei processi da innescare e di quale AC c’è bisogno nella realtà in cui viviamo. Ma oltre ad essere un seguito, la nostra realtà ha bisogno di costruire alleanze per fare meglio e di più nel mondo in cui viviamo, sia come associazione che come singoli.

Così ha detto Papa Francesco: «Ricordatevi inoltre che il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà»(Papa Francesco, Discorso al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale. Firenze 10/11/2015).

6.2 Il bisogno di alleanze si ha sia all’interno di un contesto ecclesiale che di un contesto civile, ma è ancora più necessario costruire alleanze tra il contesto ecclesiale e civile: creare ponti di dialogo tra realtà differenti, che solo all’apparenza sembrano avere poco in comune. La ricerca di alleanze nasce dall’analisi del contesto e dal discernimento per interagire con il territorio. Per realizzarle occorre muoversi e venirsi incontro, provare a vivere in pieno l’essere “azione” della nostra associazione, creare luoghi di incontro, confronto sereno, fatto di ascolto vero e rispetto reciproco, di voglia di conoscersi e di stimarsi, di desiderio di lavorare insieme e tutto ciò contribuisce anche ad affrontare le molteplici difficoltà che il costruire alleanze può comportare: la fatica di mettere insieme mondi differenti, diversi modi di lavorare e di approcciarsi alle questioni, la paura di non essere accolti, il timore di perdere la propria identità nel momento in cui sembra essere importante giungere a mettere insieme le forze e allo stesso tempo cedere parte del proprio essere associazione. I presupposti per costruire alleanze possono essere diversi e diversi possono essere i gradi di collaborazione: si creano alleanze perché si ha un progetto in comune; perché non è necessario che un’associazione programmi un evento che già un’altra associazione propone da anni, ma si ritiene necessario invece collaborare e partecipare alle iniziative e ai progetti già avviati; perché più di un gruppo o di un’associazione sono mossi da motivazioni simili nel loro impegno; perché diverse realtà decidono di collaborare per realizzare un’idea proposta solo da un soggetto; perché determinate associazioni, movimenti e gruppi vedono nel dialogo una forte alleanza per poter contribuire maggiormente al miglioramento del territorio in cui vivono.

6.3 È necessario creare e ricreare alleanze su questioni specifiche (ad esempio educazione, lavoro, pace, legalità); farsi promotori di una cultura della prossimità alle quotidiane fragilità, in risposta ai reali bisogni delle persone che incontriamo. In questo contesto occorre fare rete e convergere su progetti concreti, grazie a un’opera di dialogo e di accoglimento reciproco tra i vari soggetti, per non fermarsi a collaborazioni occasionali e sporadiche, per le quali l’inizio e la fine coincidono. Siamo chiamati a costruire alleanze che permettano di avere un seguito, che possano diventare belle prassi, che rinsaldano i rapporti tra le varie associazioni presenti sul territorio non limitandoli più al solo momento della richiesta di aiuto, ma che diano continuità alle collaborazioni e allo spirito di pensare, fare e gioire insieme.

6.4 In questo senso, è sempre più importante sviluppare e accrescere una vera e propria cultura della progettualità che aiuti a rendere concrete le idee e i sogni, facendo i conti con la complessità dei contesti locali per far sviluppare progetti sostenibili nel tempo.

  1. All’interno delle scuole, è importante creare reti per realizzare progetti che possano anche inserirsi nei Piani triennali dell’Offerta Formativa dei vari istituti. In tal senso un’opportunità preziosa è costituita dal Movimento Studenti, che promuove esperienze sviluppate grazie alla partecipazione attiva degli studenti.
  2. Per quanto riguarda l’ambito del lavoro, in collaborazione con gli uffici di pastorale sociale e del lavoro diocesani, è importante valorizzare il tesoro rappresentato dall’esperienza della progettazione sociale, promossa dal Movimento Lavoratori. Essa favorisce la realizzazione di progetti ispirati ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa per costruire relazioni concrete tra persone e attori sociali del territorio, divenendo anche occasione di speranza grazie al racconto e allo sviluppo di buone prassi nel campo del lavoro e dell’imprenditoria.

Con questa e tante altre esperienze di riflessione e azione, anche a livello locale, ci inseriamo nel pieno del percorso di preparazione alla 48° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Cagliari, 26 – 29 ottobre 2017), che vuole essere un’esperienza ecclesiale che apre alla progettualità, per contribuire al «rilancio di pratiche rivelatesi feconde all’individuazione di proposte per la creazione di lavoro nel Paese». (Comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente – Roma, 26-28 settembre 2016).

6.5 A noi, in quanto associazione, spetta anche il compito di compiere passi di avvicinamento verso le altre realtà ecclesiali, civili, socio-politiche, presenti nei nostri territori di appartenenza, facendo in modo di instaurare rapporti di dialogo, accoglienza e fraternità, che diano frutto ad alleanze corresponsabili. Alle associazioni diocesane è chiesto, in particolare, di promuovere reti di collaborazione con le altre associazioni, movimenti e realtà ecclesiali, anche vivendo con responsabilità i luoghi di partecipazione diocesani a partire dal consiglio pastorale, valorizzando il compito e promuovendo la crescita delle Consulte Diocesane delle Aggregazioni Laicali, nella consapevolezza che ciascuna realtà è “un’azione dello Spirito che apre strade nuove” (Eg 105). Nello stesso tempo, è necessario alzare lo sguardo e guardarsi intorno per costruire ponti con altre associazioni, con soggetti istituzionali, realtà culturali e sociali, organizzazioni per la tutela del creato, promuovendo o collaborando allo sviluppo di progetti su cui possiamo facilmente convergere (uno sforzo particolare ci viene chiesto nel sostegno e nella promozione delle tante campagne e i diversi tavoli di lavoro ai quali l’Azione cattolica già partecipa attivamente). Inoltre le diocesi possono e devono incoraggiare le associazioni di base a impegnarsi nella costruzione di reti e di collaborazioni: a livello locale maggiormente si possono stringere collaborazioni con le amministrazioni comunali e il mondo del Terzo Settore.  Data l’importanza di condivisione e diffusione delle esperienze sopracitate è importante creare una piattaforma condivisa dove poter mettere in rete, a tutti i livelli associativi, quanto sperimentato.

6.6 Siamo chiamati a farci promotori di alleanze culturali, sociali, religiose per l’edificazione della civiltà dell’amore, con un impegno particolare per il futuro di un’Europa aperta e solidale e per la valorizzazione della convivenza tra le religioni come via per la costruzione della pace.

«Vi chiedo di essere costruttori dell’Italia, di mettervi al lavoro per un’Italia migliore. Per favore, non guardate dal balcone la vita, ma impegnatevi, immergetevi nell’ampio dialogo sociale e politico. Le mani della vostra fede si alzino verso il cielo, ma lo facciano mentre edificano una città costruita su rapporti in cui l’amore di Dio è il fondamento. E così sarete liberi di accettare le sfide dell’oggi, di vivere i cambiamenti e le trasformazioni… Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli. Il Signore è attivo e all’opera nel mondo. Voi, dunque, uscite per le strade andate ai crocicchi: tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso (cfr. Mt 22,9). Soprattutto accompagnate chi è rimasto al bordo della strada, zoppi, storpi, ciechi, sordi (Mt 15,30). Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo» (Papa Francesco, Discorso al 5° Convegno Ecclesiale Nazionale).


[1] Dal discorso di fine anno 2016

[2] Cfr. Caritas Italiana, Vasi comunicanti

[3] CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, OP 2010-2020.