Padre Iuri Sandrin ci racconta cos’è la felicità

Condividiamo solo alcuni spunti di un incontro ricchissimo,

primo appuntamento del ciclo “beati voi!” dedicato ai Giovani di AC

 

Tra definizioni giuridiche, formule matematiche, diete e molecole attive, corsi di apprendimento tecnico e studi sociologici, non mancano le idee. E ce ne sono alcune piuttosto verosimili, come la felicità che Benigni, invitandoci a ritrovarla, descrive come il dono più prezioso che da bambini abbiamo nascosto in qualche cassetto dell’anima; o come la felicità di Aristotele che esiste solo insieme ad una lunga serie di fattori esterni, come una società che permetta l’espressione delle capacità individuali, i giusti mezzi materiali, persone ‘buone’ attorno a noi ma anche una buona fortuna. Proposte verosimili ma comunque insoddisfacenti, perché la felicità non è solo un fatto intimo né solo un insieme di circostanze esteriori. Cosa manca? La risposta è in una storia: la vita di un uomo sulle cui orme camminiamo anche noi (Rm 4,12) e che è morto “in felice canizie, sazio di giorni” (Gn 25,8).

La storia di Abramo, uomo felice, inizia (Gn 11,27) tra morte, sterilità e necessità di emigrare, e quando a metà del viaggio viene a mancare il padre (Gn 12,1) si ode la voce di Dio dire “vai via”, “lascia”. Allora la felicità ha a che vedere con una perdita, col lasciare quanto di più caro abbiamo, con l’ereditare un tratto di strada fatto insieme e col proseguire da soli con la propria storia, fino ad un momento in cui tutto appare chiaro, perché interno ed esterno, ciò che portiamo in cuore e ciò che vive attorno a noi, non sono più in conflitto ma si illuminano a vicenda.

E la voce parla ad Abramo di una promessa: una terra (che esiste ma è già abitata da gente ostile Gn 12,6), un grande nome (ma di fronte al faraone Abramo agisce indegnamente Gn 12,11-20), una grande discendenza (ma il nipote Lot si allontana -Gn 13- ed Ismaele, nato dalla schiava, è cacciato per la gelosia di Sarai e l’ignavia di Abramo -Gn 16-). Allora la felicità passa da una promessa che è capace di smuoverci e fare da motore finché non le abbiamo dato un luogo concreto. E quando poi è realizzata perde attrattiva, affinché ne nasca una nuova: nel rito della circoncisione (Gn 17) Abramo accetta di allearsi nuovamente con Dio nel luogo della ferita e del fallimento; nasce Isacco. Ecco che la felicità è poter ridisegnare un nuovo desiderio, che a partire da ciò che siamo diventati ci porti avanti, accettando anche che in quell’avanti possano sorgere nuove prove (il sacrificio di Isacco -Gn 22-)

Questo è esattamente l’itinerario di felicità che ci propone Gesù, la prospettiva evangelica della gioia del Risorto. Siamo disposti ad attraversare le nostre esperienze di morte, senza sprecare energia nell’evitarle ad ogni costo, ma trovando nell’amore donato quella forza che supera tutto e porta alla gioia piena?

Michela Farano, consigliere giovani

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